martedì 15 maggio 2012

Nemo profeta in patria

- "Le cronache di Nipponia" -
   undicesimo giorno
   (lunedì 23 aprile)


E’ come un’onda di cambiamento. E’ come un terremoto cui segue una frana, uno smottamento forte e poi piano, lenta, terra che cade. Succede così adesso. Detto questo credo che, avendoli ormai fatti tutti, sia ora di parlare dei lavori.

Il lunedì lavoro all’Engawa, ovvero il fantastico caffè dove puoi usufruire di internet, manga e libri quanto più ti pare, dalle 9.30 alle 17.30. E’ carino, vecchio e accogliente. Alla poltrona è saltato un bottone, i tavoli sono arrabattati e il carry si fa ogni paio di giorni credo, ma io con l’apron, comunemente detto grembiule (per i meridionici “vantesino”), sto veramente veramente bene. Se poi posso lavorare ascoltando i Foo Fighters e vecchie canzoni francesi cos’ho da lamentarmi? Sono una gran figa, sono in Giappone e lavoro in un piccolo caffè mentre piove e fa caldo. Mi sento in un vecchio film sulla bella Paris (o sulla vecchia Tokyò, leggere col dovuto accento). Dopo aver appreso come preparano il karee, o carry che dir si voglia, non so se lo mangerò ancora. O forse lo mangerò lo stesso, che importa se devi frullare carota, pomodoro, mezza mela e una banana bella matura? E’ il pranzo dei campioni! Anche se se non lo mangiassero alle undici e mezzo del mattino sarebbe meglio, visto che pranzano a mezzogiorno e mezzo. Lavorare con i clienti giapponesi è davvero piacevole e semplice, devi solo utilizzare una formula diversa per qualsiasi cosa fai in diverse situazioni e NON puoi solo parlare in modo più cortese, DEVI usare quella specifica formula. So che sono una gran figa con l’apron blu, ma quando mi guardano come una demente e mi dicono in inglese le cose mi infastidisco, quindi devo diventare anche una gran figa linguistica e chiedere cosa vogliono senza far capire loro che non capisco niente e copio dal menù. Anche perché certe volte non è che non capisca, semplicemente non sento ciò che dicono. Comunque sia, i clienti del cafè sembrano proprio veri clienti. Come saprete il Giappone è il regno delle formule, perciò al di là dei comuni scambi di saluti come buongiorno e buonasera e buonanotte, chi esce, OGNI VOLTA CHE VARCA LA SOGLIA, dice ittekimasu, l’altro gli risponde itterasshai, poi quando torna dice tadaima e l’altro risponde okaeri. Ciò implica che se esci ed entri, mettiamo il caso, dieci volte in un’ora, ci saranno una quarantina di inutili emissioni aerobie. Detto ciò, con i clienti la cosa si triplica. Anche se dici in continuazione arigatou arigatou, quando escono dalla porta, e solo in quel momento, ci vuole un bel arigatou gozaimashita con l’intonazione di uno scivolo sonoro che li accompagni fuori dalla porta. Sorriso falso, respiro profondo e via. Lo stesso con l’irasshaimasen di quando entrano, solo che in quel caso ci vuole l’intonazione a gancio da “vieni qua che mo ti servo io!”. Non so quanti piatti avrò lavato in un lavandino troppo basso per le mie gambe più stivali. Otto ore in piedi non sono una passeggiata. Sono una maratona. E la senaka mi itai, c’est à dire che ho la schiena rotta. Ma va bene così. Preparo il caffè in brodo che usano qui, lavo piatti, porto vassoi e mi sento proprio in un manga. Fortunatamente lavoro con la mia coinquilina che è un amore e mi spiega tutto con gentilezza. Che fortuna saper fare il carry alla giapponese, ora sì che mi sento meglio. Datemi una ciambella mochosa, grazie.

Il martedì passo cinque ore al Manma, la mensa. Lì clienti non ne ho mai visti, anche perché non li distinguo da chi lavora. E’ una mensa abbastanza autoreferenziale, quindi noi ce la cantiamo e noi ce la suoniamo. Inizio alle nove e mezza, l’altra volta appena arrivata mi hanno chiesto “sai cucinare?”, mi hanno dato un portafoglio e mi hanno detto “compra tutto quello che ti serve”. Quindi sono andata al supermercato e ho preparato un kg di penne al sugo di funghi e peperoni alla sorrentina. Li ho visti molto soddisfatti, ma la più felice ero io. E’ stato fantastico poter cucinare in quelle cucine di metallo con tutti gli utensili del mondo, megacoltelli megataglienti megatronici megafoni megane meguri e così via. Questa volta mi sono sentita come in uno di quei film tedeschi che doppiano tremendamente su canale cinque in cui ci sono sempre grandi cucine per grandi amori. Mi mancava il cappello bianco alla Ratatouille ma anche qui, con i miei taglieri e la mia rapidità nello sminuzzare e mettere in ciotoline, ero veramente una gran figa. Poi ho impiattatto in due grandi pirofile e ho servito. In sostanza la mensa funziona in modo molto semplice. Alcuni cucinano, tu vai, scrivi il tuo nome sul registro, ti servi, mangi quanto vuoi, poi ti lavi piatti, bacchette e bicchiere da solo e te ne vai. Quindi bisogna solo cucinare, aspettare le due (si mangia dalle 12.30 alle 14.00 e dalle 18.30 alle 20.00), pulire tutto e andare a casa. Domenica era tutto chiuso quando sono scesa a pranzo, stavo per andarmene quando un omino mi ferma e mi fa “oh scusami, vieni pure”. Siccome quel giorno la mensa non funzionava, mi ha fatto scrivere il mio nome sul registro e mi ha dato i soldi per il pranzo. 400 yen. Giappone. Il sabato, la domenica e il mercoledì la mensa non funziona di sera perché c’è il nabekai, ovvero una festa dove mangi i panini dolci avanzati in panetteria, carne e verdure cotte in mensa e ferrero rocher, patatine, alcol e non, schifezze generiche. Poi parli con una trentina di persone che ti dicono se sono state o meno in Italia, dove sei stata in Giappone, perché ti piace, che lavoro fai, se i tuoi capelli sono naturali o sono una permanente mentre fuori tutti gli uomini (ed io) fumano stupidamente (perché le sigarette qui sono veramente stupide). Il nabekai del sabato mi piace un sacco.

Il venerdì lavoro al sentaa, ovvero al centro (pronunciate center all’inglese e se capite “bravi, avete predisposizione linguistica”), dalle nove alle cinque. Alle nove arrivano le mie due vecchiette preferite dopo le mie nonne, beviamo un tè, leggiamo, chiacchieriamo, chi disegna, chi scrive, chi sta zitto, poi misurano loro la febbre e la pressione, fanno bagni, massaggi ai piedi, tagli di unghie. Poi facciamo dei giochi carini, un po’ di ginnastica e si prepara il pranzo. Io mangio in mensa, poi torno, continua il cazzeggio, guardo un po’ di televisione col mio mini-amico Toma, canto canzoni che non conosco (ma riesco miracolosamente a seguire il pentagramma e leggere rapidamente l’hiragana), gioco, chiacchiero, facciamo merenda, chiacchiero, gioco e arrivano le quattro e mezza. Accompagnano le signore e noi facciamo le pulizie.

Il sabato sono al panya, ovvero la panetteria (sì, bravi, siete proprio dei linguistini nati..è pan-ya, ovvero stanza del pane, ovvero panetteria). Un posto da illustrazioni per bambini. Carino, rosa, il mio apron è rosa, il mio fazzoletto per il capo è rosa, il mio collega Suda solitamente pure è rosa (ha pure la felpa rosa), ci sono giochi, libri, peluches, fiori finti, è il regno della gaiezza, insomma. Ci piace. Lavoro lì dalle 14.30 e no, non faccio il pane. Lo metto delicatamente nelle giuste buste o buste giuste o suste luste o fresche fraste o fast and furious, faccio le pulizie, pulisco i vassoi e le pinze con le quali i clienti scelgono i propri acquisti e affini. Alle sette chiudiamo tutto, ognuno si fa una bustina con la colazione del giorno dopo e poi portiamo gli avanzi al famoso, amato nabekai del sabato. Amo il nabekai del sabato, la gente impazzisce per la mia italianità, i miei capelli, la mia fighezza e la mia disinvoltura e ride incredula alle mie battute stupide che in quanto tali, qui, fanno molto ridere. Anni ed anni di mancata fama in patria dovuti ad uno spiccato senso dell’umorismo giapponese finalmente rivendicati. Nemo profeta in patria.

Oltre a questo, la domenica, il mercoledì e il giovedì cazzeggio altamente. Il mercoledì e il giovedì sono i giorni delle uscite e delle visite. Per ora sono tornata ad Akihabara e Shibuya, ma aspetto il bel tempo per fare il grosso del giro di ritorno, anche detta ri-visitazione. Ora ho fame, ma avendo mangiato tutto il mangiabile in una settimana ora sto già facendo dieta e aspetterò le sei e mezza per cenare (-_-). Stasera ci sono di nuovo le fragole. Il mio pensiero del lunedì però è sempre: che cucino domani? Mi sa pasta fredda e qualcosa che coinvolga una frittata.

à bientôt




Nessun commento:

Posta un commento