martedì 15 maggio 2012

I wanna say "Yes, yes, yes!!!", but I say "No, no, no!!!", till I say "Yes, yes, yes!!!" so will you wait for me

- "Le cronache di Nipponia" -
    venticinquesimo giorno
       (lunedì 7 maggio)


Dibattuto l’arduo tema del rock-punk-hardcore-metal-ninzò giapponese passerei ad un tema che mi sta molto più a cuore, ovvero le mie coinquiline. Passerei, appunto. Parliamo invece della giornata free hugs.

Domenica scorsa c’è stata la memorabile giornata Free Hugs. Christie-san ha ripetuto per un mese circa “facciamo Free Hugs, facciamo Free Hugs” con questo cartello colorato in mensa, ai nabekai, ovunque, senza che né io né Claudia capissimo assolutamente che non dovevamo abbracciarci fra di noi ma umiliarci pubblicamente in pubblico. Se vi state chiedendo se Christie sia il suo vero nome, fate bene. Non lo so nemmeno io. Ho appreso solo da poco che Jasmine-san e Anita-san non si chiamano assolutamente così; a quanto sembra il top leader è un gran burlone e si amusa con questi nomignoli scherzosi. Pensare che a me era sembrato solo un vecchio ubriaco di quelli di paese (ma vestito meglio) che continuano a fare la stessa battuta all’infinito e ridere da soli (le ragazze si vogliono sposare, si vogliono sposare, sposatevi con uno fra loro! Alzi la mano chi se le vuole sposare! Finché, al mio “ma solo i ricconi”, tutti zitti e passa la paura).

Detto ciò, ci ritroviamo domenica in mensa all’una, pranziamo e assolutamente ignare del seguito io e Claudia ci infiliamo in macchina con Macchan ed altri per andare al Kasai Rinkai Koen, un parco straordinario. In primo luogo, immenso. Appena entrata mi ha assalito un odore natsukashii quanto strano. La nostalgia veniva dal verde, il verde bagnato in una bella giornata, ma l’odore era salmastro, forte, come fosse caduta una pioggia di lacrime su un immenso volto sereno. La giornata era strepitosa, ho subito notato quella che poi ho appreso essere la ruota panoramica più grande del Giappone, verde e fiori e laghetti a non finire, una piazza centrale con il parco acquatico e poi la via principale con una sorta di belvedere. Ci piazziamo sulla via principale, Christie-san caccia i cartelli e mentre loro, quelli per cui in teoria è stato creato l’evento, per farli sciogliere un po’, si addormentano amabilmente sul prato, io e Claudia ci lanciamo in un free hugs disperato sinceramente istruttivo.

In primo luogo ho imparato l’utilissima parola oppai, che indica un prosperoso balconcino giustapposto al petto delle gentili signore. Strano eh? Ammetto che sia anche colpa mia, che non mi sono assolutamente contenuta. Ma diamone un po’ anche alla natura, please. L’unico che aveva il diritto di dirmelo è stato quel pulcino cui la mamma suggeriva di farsi abbracciare da me e che con uno sguardo tra il perplesso e il divertito (e, forse, l’affamato), mi ha indicato e ha detto “oppai” e la mamma subito “scusa, scusa, ha due anni” e io me lo sarei mangiato, tesorissimo. I cazzoni grandi, invece, come amabilmente li definirebbe il mio amato otousan, li avrei pestati a sangue, cosa che, come sono solita fare anche in Italia, ho fatto verbalmente, con i miei “hai qualche problema?”, “non ne hai mai viste?” e “muori” nipponici. Bellissimi momenti di cuozzaggine che, translati in Nipponia, diventano solo le domande offese di una delicata giovane prosperosa. Quant’è bello parlare una lingua in un cui il tono fa la persona quindi puoi dire qualsiasi cosa tremenda, basta che la pronunci come una signorina delicata e se poi sei straniera è il top, c’è sempre l’escamotage del “gomenne, io no compriendo!”. Amo questo universo parallelo, non ci vado mica su alpha centauri, col cavolo che mi muovo!
I nipponesi, comunque, sono assolutamente, zettai ni, hazukashii a livello massimo. Le donne e i bambini si sono abbastanza lanciati, vecchiette comprese, ma i ragazzi giammai. E più erano cuozzi e megatunz, il cui soggetto medio qui è molto abbronzato e solitamente dotato di canotta che porta rigorosamente alzata sullo stomaco, che a pensarci bene, forse, è lo stesso del cuozzo megatunz italico, e più si imbarazzavano. Prima facevano gli splendidi, poi quando la mia faccia di oshiri gli si avvicinava invitante si scostavano, poveri mezzibaka (sì, Lè, sì, mezzifessi, perché?). E lì, sempre con la mia faccia di oshiri, con falsa sorpresa naturalezza dicevo loro “ma siete adulti o siete ancora poppanti?”. E filavano, ah se filavano! E’ stato tutto molto bello.

Dopo un’ora di free hugs m’ero quasi un po’ rotta er ca’, ergo siamo andati sul belvedere, alla fine della strada principale, e lì ho visto, per la prima volta e senza sospettarlo, l’oceano. Solo a dirlo mi vengono i brividi. Domenica scorsa ho visto l’Oceano Pacifico. E puzzava. Ma chi se ne frega. C’erano passaggi e paesaggi splendidi, abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia e c’erano delle conchiglie strepitose, di cui ho raccolto una busta piena. Erano cartacce accartocciate di conchiglie, bouquet di conchiglie, esplosioni di conchiglie. Erano le conchiglie dell’oceano. E puzzavano. Ma quanto puzza, l’oceano? Comunque sia, giunta ai sassi di Salerno del Pacifico ci siamo saliti, ci siamo fotografati e ce ne siamo tornati indietro. E a quel punto il momento s’è fatto topico, l’aria s’è fatta densa e la tensione è salita alle stelle perché, a quel punto, era arrivato il momento della kanransha!!! La Nihon ichiban oki!!!! Credo di aver fatto qualcosa come un’ora di fila con tornanti che nemmeno una chicane (avrò detto una cosa sensata? D’altronde, continuo a dire a tutti questi pseudo-autisti che io al furusato sono Schumacher!). Siamo saliti al volo perché la ruota panoramica non si ferma mai, coppie mal assortite e agli antipodi. I nostri uomini seguivano silenziosamente, io e Claudia eravamo agitatissime, facevamo foto e video a manetta, impazzivamo per tutto. Due cretine, ufficialmente. E anche se a quel punto l’aria s’era fatta freschetta, dopo quattro ore di parco ce ne siamo tornate felici e tanoshikatta a casa, ma, non contente, dopo mezzora ce ne siamo andate pure al nabekai della domenica del dormitorio maschile, dove ho potuto assaggiare un alcolico alla prugna, gradazione 3%, in pratica succo di frutta. Ottimamente pietoso.

In pratica qui la riabilitazione la sto facendo io. Non mi ubriaco più, non litigo con nessuno da un mese!!! (e sarei capacissima di farlo anche in giapponese, tranquilli), lavoro allegramente che ci sia pioggia o sole, vado in giro da sola senza restare più di dieci minuti a casa, dove mi lavo e dormo e guardo amabilmente la tv mentre faccio più di uno spuntino. Ma chi sarà mai, questa Ale-chan che m’è venuta fuori all’improvviso, dove la tenevo, dove stava riposando, chi sognava? Poi, quando si fa l’una o le otto, mi rendo sempre perfettamente conto di quale sia la risposta. Credo di saperlo bene, estremamente. Credo che mi stiano salvando, credo che tornare mi aprirà il cuore a metà e poi ne taglierà fettine sottili da cui gronderà bellezza addolorata, goccia a goccia, cadrà quella notte meravigliosa, cadranno i sorrisi di quel pomeriggio, cadrà il volano al parco e il primo giorno ad Akiba con Kuri e Nobu, cadrà il karaoke con Diego e Kunro e Kato e Kanako-chan. Ma soprattutto cadranno i nostri discorsi del mondo che non sente nessuno, cadrà il tuo sguardo imbarazzato e malinconico e cadranno le nostre risate quando ti faccio vedere la mia roba masticata o quando ci imbocchiamo come fratello e sorella e ci mangiamo anche le dita, cadranno gli occhiali sul naso come un vecchietto e quella parola, famiglia, che ci si forma sempre tra una parola e l’altra come vapore brillante mi resterà nell’anima anche quando non ci sarai, anche quando non mi sarai seduto accanto nel buio a parlare a mezza voce, a giocare ai daimyo o a tirarci fuori le amarezze, uguali ma non paralleli, sovraesposti e sovrapposti, due e basta, noi, tu una persona taisetsuna, probabilmente la ichiban.

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