lunedì 23 settembre 2013

Welcome to Asakusa..pillola rossa?

E fu cosi`, una settimana or sono, che mi trasferii ad Asakusa. Fatti armi e bagagli, caricate un paio di macchine, dopo l`immenso viaggio nel sobborgo di Burocratilia (di cui una nota verra`), approdai nel regno del tradizional-futuristico. 

Perche` Asakusa non e` una citta` nella citta`, ne` un microcosmo..Asakusa e` un universo parallelo! 

Personalmente, amando molto il Sensouji, ci sono stata almeno 6 o 7 volte, eppure mi rendo conto di non averla mai vista davvero. Dopo 2 Sanja Matsuri (di cui uno trascorso come comitato portatori del Mikoshi, due tonnellate di soddisfazione e un livido grosso quanto un`intera parmigiana di melanzane) e infiniti tour per avventori della capitale dell`est non mi ero mai, dico mai, accorta che solo girando la testa verso l`altro lato rispetto al Kaminari mon si erge imponente sull`Azumabashi il Tokyo Skytree. E sotto, meraviglioso, il Sumida. Non potevo credere, fino al mese scorso, di non aver mai visto il Sumida. Un fiume che mi sta innamorando con malizia sottile e che seppur non potra` mai cancellare da me il ricordo meticoloso del mio Edo si sta scavando giorno dopo giorno numerosi affluenti attraverso i miei capillari. 

Andando con ordine, la stazione. Che sia di Ginza o d`Asakusa, usciti dalla metro le possibilita` sono due. Una e` quella di dirigersi verso l`Azumabashi, sotto lo Skytree, e rimirare col fiato sospeso le cruisade lente sul fiume e quell`immenso appallottolamento dorato che voleva essere, per l`Asahi che l`ha commissionato, una soffice e gustosa spumetta al luppolo, e che per tutti, nipponesi compresi, e` una cacchetta dorata. Ma non perche` sia brutta, no no, perche` e` esattamente a forma di una cacchetta dorata. Comunque, non intacca la magia dl Sumida, che arrivato il tramonto sa tingersi di tante di quelle sfumature di rosso da far invidia alla tavolozza del botticelli. E mi dicono che dall`altro lato del fiume, che scorre esattamente sotto casa mia, ai limiti del Sumida koen, cio` che si allinea con garbo e` una fila di alberi di ciliegio, il che puo` garantire alla mia indaffarata vita d`affarista quel tanto di romanticismo che le serve a rimanere intatta. 



Alternativa piu` comune, andare al Kaminari mon, passando sotto i portici della Kaminari mon dori, alla cui estremita`, di fronte al Burgerking, fanno un gelato fantastico, mentre di fronte c`e` il celeberrimo Kamiya Bar, che io ricordo bene dal mio primo Sanja matsuri. Tralasciando i dettagli, se tutti conoscono la via di bancarelle infinite che collegano il Kaminari mon al Sensoji, non molti seguono le vie laterali, e parallele, e antistanti, e retrostanti, e insomma ovunque, perche` cio` che ho capito e` che Asakusa e` un enorme, immenso, colossale mercato all`aperto dai prezzi tanti ridicoli nelle vie secondarie quanto alti in quella principale piena di turisti in ogni giorno ed ogni ora della settimana. Mai, mai, sono andata al Kaminari mon negli anni e non ci ho trovato qualche turista di qualsivoglia etnia. Una cosa impressionante. 

Ancora, non molti sanno che proprio dietro al grande complesso templare del Sensoji, sulla sinistra, si trova l`Hanayashiki, proprio sull`Hanayashiki dori, ovvero un parco giochi abbastanza grande proprio dentro al complesso, sotto il quale ancora si aprono bancarelle stile matsuri e si trova un locale che per 2.500 yen ti fa mettere il kimono e per altri 2.000 ti fa partecipare alla cerimonia del te`. 4.500 e partecipi in kimono, insomma. E ancora gallerie e gallerie dei negozietti piu` vari, in particolare mise da matsuri, stoffe d`ogni tipo, regali e regalini, borse, borselli e borsette, cibo, cibo, cibo ma soprattutto SCARPE, ombrelli, borse e SCARPE in ogni dove. Oserei correggermi, scarpe e senbei! 

Asakusa e` la colossalita` della tradizione futurista, una proiezione modernista senza freni della tradizionalita` d.o.c. del luogo ove qualsiasi cosa che sia edoppoi puo` essere venduta e rivenduta e riproposta a oltranza ad ogni angolo della strada, a prezzi praticamente identici! Percio` se vi trovate al Kaminari mon vi prego, arrivati al Sensoji, non tornate indietro, ma infilatevi, infilatevi in ogni anfratto, ogni buco, ogni viuzza, perche` non crederete quanti prodotti, da padelle a scarpe, si possono vendere a 300 yen! 









Un valido modo per capire di cosa parlo e` lui, il mitico, insuperabile, incontrastabile, Panda Bus! Quando sotto casa mia ho visto la fermata mi sono chiesta se davvero esistesse, questo free shuttle Panda Bus che mi sapeva tanto di fregnaccia, e invece oggi, o me miscredente, oggi come un`apparizione mistica intravedo un autobus con la coda e all`ineguagliabile grido di [se e` free, mi freeondo!] ho potuto godere per ben una volta e mezzo del giretto che da sotto casa mia porta ad uno degli ingressi laterali del Sensoji, si infila nelle viuzze, arriva fino al parcheggio esterno del Sensoji, poi lo costeggia fino all`ingresso del parco giochi, passa davanti al Seiyu, svela negozi e negozetti necessari, riporta davanti al Kaminari mon, si allunga oltre l`Azumabashi fino ad una ridente cittadina prossima alla stazione del Tokyo Skytree, dove giunge, si ferma ancora e poi torna fino a casa mia. Tutto gratuito e a loop. Insomma, Panda Bus tutta la vita. 


 Asakusa e` unica. Un posto di commercianti ormai scoglionati anche di commerciare, dove se entra un cliente al di la` dei posti atti all`usuale commercio la gente si stupisce (cosa ci fa una gaijin residente!! non intorno al kaminari mon!!), dove tutto scorre immobile come il Sumida e l`evoluzione e` stata solo su come fare soldi, null`altro. Asakusa e` ancora il cuore della Tokyo che fu, non perche` i riscio` e i negozi di vestiti da matsuri e le stoffe e i pattern tradizionali siano ovunque, ma perche` Asakusa, secondo me, dal periodo Edo, non e` proprio cambiata di una virgola. Si e` solo riempita di tutti quei gaijin che durante il Sakoku Asakusa non l`avrebbero potuta vedere nemmeno col satellite (per ovvi e molteplici motivi). E dunque, s`e` modificata con una tradizionalita` di cui non avrebbe mai avuto bisogno se non per far soldi. Perche` cio` che e` davvero tradizionale non si dichiara tale. Semplicemente, e` cio` che nella sua concezione deve essere. 

Asakusa e` mobile, immobile e frammentata. Asakusa e` una e morbida e ho l`impressione che assorba chi decide di entrarci in contatto. In una sola settimana anch`io ormai ho ceduto ogni freno e sento che presto saro` una piena Asakusina, nella mia bella casa che gia` si riempie di utensili, pesci e piante. Sento che qui e` e sara` la mia vita, il mio inizio. E se non mi danno il rinnovo del visto io ci torno lo stesso. Perche` non l`ho scelta io. E` lei che ha scelto me. 

venerdì 12 luglio 2013

童話

Quando hai voglia di scrivere una favola..

昔々王子様が居た、綺麗の方。この王子様は王様だったの知らなくて、王子様にとして生きてた。勉強しなくて、働かなくて、たまに食べるのも無かった。ゴールデン王国の王子様だった、家臣が決して話さなかった王国。囁いてた、叫んでた、無視してた、けど何時も黙ってた。
王子様は綺麗、ブロンド、華々しいだった。全部巻き込んでた暗い光あった、自分の王国しか無かったから。鉱石の王子様だった、特別な王子様。皆触ってたも、誰も撫でらなかった。

この王子様、ある日、お姫様見た。それで憎めちゃった、一番最初から愛してたの気が付いたから。王子様だったから愛出来なかった。でも愛してた、それでもっと愛して、もっと憎んでた。直ぐに鉱石のお姫様だったのを解ったから。だから愛してた。憎んでた。愛してた。憎い、愛しい、粗野的に繊細なお姫様だった。完璧に不完全だった。それで憎んでた、丁度欲しかったの方だったから。欲しかった、それで探してた。動かずに探して、彼女が一番天然な事のように来てた。それで弾けてた、欲しい過ぎてたから。欲しくなかった、憎んでた。それで愛してた。自分の事よりも必要かった。

お姫様は高くて幼気、熱い鋼の姫様、濃い液体。お姫様は医者、先生、科学者にとして生きてた。お姫様だったしってた、けどお女王様なりたかった。お姫様は童話書いてた。止まらなくて、毎日毎日書いてた。太陽は出て入れて、姫様紙の花の上に愛してる愛してない書いて自分の日を捨てた。でも花びらが取れなかった、名前が空気の名前だったから。だから何時か取れる望んで、紙の花に愛してる愛してないを書き続いてた。童話を書いてて、書いてて書いてて書いてた。外に太陽な太陽が出て、草地な草地の上に花的な花が咲けんでた、けどお姫様は紙の王国に住んでた、彼女が童話を書く所。童話を書いて、まだ書いてた。名前と結び変わって、でも決して始まらなかった。何時も終わって決して始まらない童話だった。お姫様は童話憎んで、毎日毎日書いてた。知らなかったのは、早くて終わってしか欲しくなかったのだった。童話は姫様のカゴだった。

お姫様は王子様見て、燃えちゃった。一瞬で花、太陽、用紙と紙のキスを食べてた大火感じて、心が燃えてた。頭も。迷ってた、お姫様、全部燃えて、煙あって、何処に行ってたの、あんな火事を吹き消すのどうするのも知らなかった。それで火で桶を満たして全部もっともっと燃やしてた。燃やして、燃やして、燃やして!

全部灰になったから、お姫様は座って、汚い、臭い、灰の中に座って、見た。もう無かった紙の王国を見て花的な花を触った。匂ってた。濡れた。お姫様がおしっこしたかった。全部正直なのだった。汚い、匂やかな、早急だった。紙が全て燃やしたから。命が残ってた。

そうしたら、また見っちゃった、また、また。王子様の命を変わり得るお姫様の命を変わり得る王子様を。彼が彼女に愛しなくて一回も愛しなかったのを叫んだ。彼女もまだ愛してたから彼に微笑み掛けた。全部燃やして、あの二人が愛してた。彼女が何回でも彼を触った。毎回彼が心打たれて目を閉じてた、あんあ事が愛撫と言う事だ知らなかったから。彼女は彼を撫でてた。彼が知らなかったけど変わってる感じだった。変わると言うより、存在してた。正直なだった。鉱石造じゃなくて、王子様も無かった。彼が人間だった。彼がお女王様。彼が王国。伴侶。あの女が撫でてたから彼は全部だった。

そうしたら彼女がお姫様じゃなかったの分かった。彼女が女の人だった。何時も心に持ってて求められたくなかった女だった。 でもあの王子様に必要かった。探して、欲しくて、拒んで、悔いて、取り返してた。抱きすくめて、ちゅうして、彼女の一番奥なところまで行ってた。それで、一番黒くて深さに、自分の事見つけた。バカの王様。彼女の世界の王様。

あの二人今まで愛してる。触らずに、見ならずに、話せらずに愛してる。王様とお女王様だから愛してる、王国無し、ハッピーエンディングも無し。自分たちに君臨して、あの恋を守って、陰気と正直で労わってる。明日無いから愛している。今日しか無い、あの二人の恋と。全部始まって決して終わらない所に。

mercoledì 29 maggio 2013

Il gatto sotto l`altalena

Il Giappone e`un Paese dove puoi decidere determinate cose: e`mezzanotte e mezza e ti infili il tuo ex-pantalone del pigiama, la maglietta che usavi a lavoro fino a qualche mese fa, le scarpette e una borsetta Etro`da piu`di 200 euro ed esci.Vai prima a imbucare una lettera e poi al parco, uno dei tipici parchetti con giostrine per bambini, sabbia e affini che trovi ogni trenta case, e inizi a sgranchirti. C`e`silenzio, e`l`una, un vento leggero fa rotolare qualche lattina. E c`e`un gatto sotto l`altalena. Sembra una sfinge, ti guarda in silenzio, gira la testa, sbadiglia, poi ti riguarda fare esercizi con lo sguardo di chi affronta l`eternita`di un`imbecille e torna alla sua energica immobilita`oziosa, piena, vera. E`l`una di notte e c`e`un gatto sotto l`altalena.

Le cronache di una silenziosa Nipponia
Ormai giovedi`30 maggio

Nel silenzio mi sono sgranchita a serie di 100 per un quarto d`ora. Le gambe, le braccia e la schiena. Non c`e`cosa che non facesse trac-trac-trac e non tirasse da morire. Ero tesa, ma non avevo paura. Siamo a Nipponia. Nessuno stupra una gaijin grassa col pigiama e la maglia del lavoro all`una di notte in un parco. Almeno, non se un gatto-sfinge e`sotto l`altalena. E`il nipponese piu`elegante che abbia mai visto. Chissa`se i gatti, veri signori e padroni di Nipponia, si considerano nipponesi o sono talmente alienanti da desiderare solo la dedizione dell`alienata Nipponia. Perche`Nipponia ti aliena, ormai devo prenderne atto. Ti aliena quando sei sola nella tua stanza di un paio di tatami, quando ti stringi con un centinaio di gente stanca quanto, se non piu`di, te, quando ti immergi in folle di nulla mentre qualcuno forse cerca di stringersi a te pur di toccare qualcuno che sia uno, uno e solo. E tanti altri soli mila quanto lui. 

Io esco alle 10.30 circa al mattino. Cerco di prendere la metro delle 10.43 perche`se la perdo devo prendere quella delle 10.52 che mi fa prendere la coincidenza delle 11.15 e arrivare all`ultima fermata alle 11.28. Troppo tardi, perche`arrivo a lavoro alle 11.33. Poi devo lasciare giu`la borsa e salvo intoppi correre a timbrare il cartellino. A volte addirittura alle 11.38. Troppo tardi. Mai troppo tardi pero`quando esco, dopo quelle che dovrebbero essere 8 ore e non lo sono mai e dopo infiniti minuti dopo le 20.00 senza ritegno, prima di arrivare a casa dopo ancora un`ora, perche`c`e`la bici e la spesa e delle soste e delle pause. A volte arrivo a casa alle undici e non so nemmeno come ho fatto. A quel punto devo preparami la cena, se mi va, fare qualche lavatrice, passare infiniterrimi minuti al pc per rimettermi al mondo e rimettere il mondo a me e ancora forse, per l`una e mezza, se siamo fortunati, andare a dormire, sperando di riuscirci. Finalmente ho detto mezza, senza minuti. Senza cifre costanti. Quelle di quando chiedi che ore sono e a che ora vedervi e fra quanto arrivi e quanto ci vuole perche`questa o quella cosa sia pronta e quanto dista a piedi quel posto. Quelle che ti entrano dentro senza che tu te ne accorga e che ti fanno dire che oggi e`giovedi`. Perche`e`l`1.54, quindi non e`piu`un alienante mercoledi`. Oggi e`un alienante giovedi`gia`fatto e finito. 

Percio`stanotte ho staccato tutto e sono andata a scricchiolare nel parco nel Paese di fantasia (no, smettetela, Nipponia e`un`inesistente Matrix gialla e poliedrica senza facce, non mi convincerete del contrario, perche`lo so gia`) in cui puoi uscire senza pieta`e senza regole a qualsiasi ora del giorno e della notte. E ci sara` sempre qualcuno o qualcosa, ci sara`sempre un qualchdove in cui andare ad alienarsi insieme agli altri, un conbini in cui andare a cercare la nostalgia del contatto umano attraverso uno sguardo annoiato e qualche aisatsu coi cassieri. Solo per ricordarvi quanto siete soli al mondo. 

A fronte di questo, Nipponia e`il paese in cui una settimana e mezzo fa ho portato il mikoshi al Sanja matsuri. Immotivate le mie paure di essere uccisa dagli yakuza, ma quante foto, signori, quanta meraviglia, quanto caldo, quanto enorme il livido sulla spalla destra e quanta soddisfazione di quella famiglia che mi ha accolto come sua gaijin di fiducia. Quanta poca alienazione, in delle belle persone normali. Tutto sta ad incontrarle e il gioco e fatto. 

E alle due e qualcosa tocca mettersi a letto che domani a Nipponia e`un altro giorno e presto, nelle sue cronache immotivate, ci sara`la nota sul Sanja matsuri. Prima o poi, si spera. 

giovedì 23 maggio 2013

Un James Dean giallo *ma i giapponesi, sono veramente gialli?*



Perche`voi non l`avete mai visto qui, contro il muro di casa..quando si poggia di fronte al lavello, in quello spazio stretto, a piedi e petto nudi, solo i jeans addosso, bianco, chiaro come la notte, e si poggia a quel muro con la frangia sugli occhi come esistessero solo lui, quella sigaretta da accendere e chi lo sta guardando..perche`non se ne accorge ma lo sa, che qualcuno a guardarlo c`e`, c`e`sempre..la accende, posa la testa al muro e fuma, a volte si gira a guardare me stesa sul futon che lo osservo incantata e mi da`un`occhiata da brivido con un mezzo sorriso sicuro, continua in quel suo incantevole processo di mascolinita`scrollando la cenere nel lavabo e io non mi riesco nemmeno ad innervosire perche`i miei feromoni stanno ballando il tuca tuca con le mie terminazioni nervose..poi finisce, sempre, con disinvoltura, sapendo che il mondo tutto lo stava aspettando per ricominciare a muoversi e mi guarda dicendo solo con la lieve inclinazione di quel sorriso ferocemente osceno `be`,siamo ancora qui`..tipo che lo amo cosi`, il mio James Dean nipponico..e`una condanna a vita.

Solo questo..


giovedì 21 marzo 2013

Farrrrrrrrrrrrragginosissssssimo


Due espressioni: 世辞  e   社交辞令

Riprendo da come sono stata presa. Così. L’ultima volta scrivevo, come la penultima, in senso vago, d’attesa, di conferma, di poesia, di impazienza e stanchezza. L’ultima volta scrivevo ma non scrivevo. Però ci sono due persone, due sole, ma proprio quelle due persone, che mi hanno scritto delle cronache, che me ne hanno riportato l’impulso dentro e la necessità, più che altro, di abbandonare l’ignavia e darsi alla tastiera, che è penna quando deve. Quindi, per Emanuele Cavallo e Ilaria Sperti sopra tutti, queste sono le cronache di Nipponia che ha fatto fiorire la primavera. E che con quelle due espressioni non c’entrano niente.

Tutto ciò che riguarda la mia esperienza a Nipponia parte e ruota intorno a quelle due espressioni e alla loro nemesi. Seji, la prima, è il complimento, la cortesia, la svenevolezza, ma si concretizza nell’atteggiamento tipicamente giapponese che porta  dirti “Alessandra, ma il curry di oggi l’hai fatto tu? Ma era buonissimo!” per poi girarsi verso la mia amica e dirle “Mamma mia, faceva proprio schifo oggi!” (fatti e persone non sono per niente casuali, caro Ryo, mica te lo perdono!). E’lo stesso atteggiamento che induce una donna anziana a prendermi in casa per fare una cortesia a non si sa più chi e fare con me la mega-svenevole, regalarmi elastici per capelli e indicarmi come vestire perché, come riferito appena messo piede a casa sua ad una terza persona, “non mi aspettavo mica che avesse i capelli così gonfi, ma non va bene questa ragazza!”. La stessa persona che ora che lavoro in un caffè di lusso ad Aoyama e tanta gente su facebook mi riempie di attenzioni ha iniziato a elogiarmi platealmente, venendomi a trovare con affetto (mentre pochi giorni prima aveva vietato che mi si invitasse ad una festa a casa sua tra italiani).
Shakoujirei è invece un modo diplomatico di porre le cose, un modo mieloso di parlare o una promessa vuota, ovvero i loro “andiamo a fare questo, vediamoci questa volta, dobbiamo assolutamente venire da te in questo periodo” detto senza alcuna intenzione di farlo, come sa bene il mittente quanto il destinatario. Non ci andrete mai, con loro a fare questo o quello. Ma lo devono dire, lo devono fare, devono mostrare. Sempre e solo qualcosa che non c’è.
Ovviamente c’è da distinguere il tratto culturale da quello caratteriale. Loro si arrabbiano sempre se dico che sono un po’ ipocriti, ma culturalmente!, eppure io non conosco altre espressioni per definire l’atteggiamento che induce qualcuno a dire che qualcosa è buono, bello e piacevole laddove gli fa schifo per essere lezioso, non è come quando tua zia ti regala le pantofole di velcro con scritto Viva Venezia mia per il tuo diciottesimo compleanno e tu dici “ooooohhhhhhh, che beeeeeeeellooooo, graaaaaazieeeeee, lo volevo prooooooooooopriooooooooo” (che è pure un po’ esagerato), ma è come chiamare e richiamare quella zia ricordandole quanto ti siano piaciute quelle ciabatte perché prima o poi potrebbe servirti in qualche modo. Non è un’ipocrisia reattiva di difesa, è proprio aggressiva. Li porta a fare i dolci e i simpatici con grandi sorrisi e poi pugnalarti alle spalle appena ti giri senza pietà, anche con cose che potrebbero dirti tranquillamente in prima persona. Come quando un giorno discutendo di tutto ciò alla New Start ho scoperto dopo mesi e mesi che tutti erano infastiditi dal mio profumo in mensa ma che nessuno me lo aveva detto perché pensavano che essendo estate fosse per coprire la puzza di sudore!!! E nel frattempo tutti a dirmi “oooohhhh ma che buon profumo, usi molto profumo eh, ma è un profumo costosto?”. Fino a “pensavamo fosse per la puzza di sudore” ci può pure stare, ma se sottolinei più volte sorridendo questa o quella cosa con tanti “oooohhhhh” e “aaahhhhhh”, non ci arrivo che significa che ne sei schifato e in qualche modo vuoi punirmene. O più semplicemente, che è l’ultimo pettegolezzo all’ordine del giorno e ci si crede furbi a sorriderne con me.

Questo è anche da considerare: se avete un segreto, non parlatene con un giapponese come se fosse implicito non dirlo a nessuno. Sottolineatelo, fatevi fare una yubikiri yakusoku, imponetegli il segreto monastico, trovate una soluzione, ma se parlate di qualsiasi cosa con loro, loro avranno il diritto di dirlo a chiunque come l’ultima grande novità o un incredibile aneddoto. E siccome ciò infetterà comunitariamente anche voi italiani, guardatevi da ogni etnia in caso di segreti o himitsu che dir si voglia. La vita comunitaria ti condiziona in modi che non puoi nemmeno immaginare. Figurati censurare!

Comunque sia, la vera difficoltà del vivere a Nipponia è solo una: i Nipponesi. I Nipponesi con la loro cultura cementificata e l’ancor più cementificata capacità di oltrepassare i limiti di ciò che si impara, si fa, va imparato o va fatto, il percorso, per così dire, la strada del KOKO HA NIHON DA! Noooooooooooooooooooo…..non so più quante volte all’espressione “Qui siamo in Giappone” ho risposto “Qui siamo nel mondo!”, attirando su di me l’odio dell’incontestabilità di chiunque. Come si fa a spiegare ad un bambino che è per il suo bene che lo sgridi, che è perché lo adori che vorresti vederlo crescere per il meglio? Come si fa a dire ai Nipponesi che io Nipponia la amo anche quando gli strapperei le braccia per allungarci i piedi del tavolino troppo basso e con la tibia e il perone ci farei le bacchette per cucinare, quelle lunghe? Come si fa? Come si fa a capire a quelli che lavorano con me che anche se sono la più piccola e sono straniera non ci vuole un training culturale per capire come lavare il pavimento per vederlo pulito o che in un ristorante le posate vanno messe tutte uguali altrimenti diventa una mensa e che se glielo devo ripetere tutti i giorni non sono io la cattiva ma sono loro nuketeru che lavorano qui da anni e ancora non ci arrivano? Perché se io ho imparato subito a fare quello che fanno loro (due o tre mesi di pratica) loro non riescono a capire che un’insalata composta di mucchietti ed una assortita elegantemente con un minimo di buon gusto NON sono la stessa cosa? E soprattutto perché, perché, perché non posso accettare di essere rimproverati o che gli si voglia insegnare qualcosa in tutti i modi, perché? Perché se il capo li sgrida solo per frustrazione abbassano il capo fino a terra e se poi io discorro con loro con calma cercando di fargli capire il senso dell’errore e soprattutto di non doverlo ripetere tutti i giorni ricevo solo mugugni, musi e lamenti?

Perché non aprirsi e migliorare invece di komattare subito? Perché pensare di vivere ancora nell’Edo jidai solo quando ci conviene? Perché non imparare ad essere più diretti o per lo meno a riconoscere che culturalmente, un Paese in cui non esistevano le espressioni sì e no in passato ma si rispondeva con eufemismi, non è proprio il Paese delle relazioni sane? Che se tu invece di dirmi non lo fare mi dici “se non lo fai va bene” rendi solo tutto più farraginoso?

Perché sì signori miei, la meravigliosa Nipponia che io tanto amo è incredibilmente, inconcepibilmente, irresponsabilmente farraginosa. E il Paese che dovrebbe brillare per capacità ed arte e tradizione si fossilizza in arte tradizionale e arte della tradizione. E per noi è il paradiso, perché “eeeehhh, hai studiato cinque lingue” e “eehhh, sai fare tante cose” e “eeehhh, come sei coraggioso/diretto/luminoso/forte”. Mi chiedo se questo sia mai stato per qualcuno un “ma non è che siamo noi che siamo…”.

Nipponia mia, l’Italia l’ho dovuta lasciare perché non le potevo fare molto, ma a te, no, a te non rinuncio. Apro ufficialmente nelle Cronache di Nipponia lo spazio delle Critiche di Nipponia. Urge autocritica, signori miei. In tutti noi. 

martedì 1 gennaio 2013

L'anno nuovo non è solo


Merita una nota e questa sarà MI. 

Nella mia testa si rincorrono parole da ieri notte. Riconoscenza, tu, mostrare, miracolo, grazie, salvare. E poi la parola più bella di tutte, il suono di un sorriso stanco. Non ho mai incontrato un uomo adulto che mi ringraziasse così tanto e così di cuore, davvero, fino allo sfinimento, come un bambino che ha ricevuto la cosa che voleva tanto dopo Natale, quando ormai non se l'aspettava più. Complice l'alcol forse, ma fino alla commozione. Ho il vizio di dire tutto ciò che provo davvero anche in giapponese. E lei, loro due, sono stati il vero miracolo. Io non ho fatto proprio niente. Kazu dice "è potuto succedere solo perché c'eri tu, hai fatto tutto questo". Ma le gambe che tremavano erano le sue, il sorriso imbarazzato che faceva battute e la sfioravano leggermente senza permettersi troppo, la voglia forse di chiederle scusa dal profondo del cuore e non sapere come fare. Era lei che incontrandolo dopo due o tre anni non ha fatto alcun tipo di scenata ma con emozione piccola e pacata, quasi silenziosamente, esplodeva all'interno di ogni sorriso prendendosi cura di ogni passo guardando a terra. Il miracolo sono stati loro, felici e piccoli senza dirsi alcuna parola drammatica. Non me li tolgo dalla mente. Il padre è fantastico, ma loro due erano tenerezza pura. Avrei voluto dire "vai con lei, dormi da loro, cena con loro, vacci al karaoke", ma i miracoli si dosano e centellinano nel cuore. E poi non vedevamo l'ora di stare soli per baciarci. 

Buon anno, nuovo

Questi Natale e Capodanno sono stati i migliori della mia vita. Sono stati semplici, senza alcun tipo di previsione, inventanti, voluti e venuti. Natale era scritto solo e soltanto "stare insieme", lui a lavorare la vigilia e io a Natale. Senza cucinare grandi cene, senza vestiti sfarzosi, senza nemmeno un goccio d'alcol, ognuno con la sua piccola sorpresa (un paio a testa, in realtà), senza sapere come ma con la consapevolezza del quando. E l'alone del perché a brillare nelle candele accese, ad un certo punto. Venti, trenta candele forse? Tutte lì a sussurrare. Passato a discutere, chiacchierare e fare l'amore. Ridendo belli.

Capodanno è venuto da una crisi. Da urla, rabbia, separazione, lacrime e gesti eroici, riprese, salvezze. Rinunce al vizio per dimostrare una cosa sola: qualsiasi cosa cambi, inizi e finisca è sempre e solo frutto della verità di due anime nude. Che s'erano cercate e non lo sapevano e di cui non si sa cosa sarà. Gli oni ridono, ho scoperto. E piuttosto che farli ridere una risata buona me la faccio io. Ogni giorno, anche in silenzio, anche nel vuoto. La risata dolce della mia vita compiuta.  Così da me che vestita di tutto punto dovevo passare il capodanno tra la aoyama bene, o più che bene ricca, nell'Upper Higashi side di Tokyo, è diventato "vieni con me". Al locale ci sono andata, tanto non pagavo, quindici inutili minuti solo per far girare qualche testa e farmi dire dallo staff un banale e gelido "ohhh, come sei sexy oggi, vieni, beviamo liquore", e poi volare via, nella Tokyo che piace a me. Correre a Daimon sull'Oedo-sen, salire di corsa le scale per fare in tempo (in ritardo fino all'ultimo dell'anno) e vederlo lì, teso, quasi già stanco, ad aspettarmi con calma e dirmi "tranquilla, facciamo in tempo" e prenderci per mano e correre tra tutta quella folla, oltre il cancello del tempio, a contare 6, 5, 4, mezzo in italiano e mezzo in giapponese senza capire più niente, e vedere il fumo salire sulla Tokyo Tower e poi vederla iluminarsi tutta sullo sfondo di un grande tempio, e auguriiiii, abbracciarmi, e la voglia di darmi il primo bacio dell'anno ma Koko ha Nihon da e allora tirarmi vicino ad un pilastro e dirmi "auguri" dritto negli occhi e baciarmi velocemente e poi fermarci lì e dire "la gente è ancora troppa per andare a pregare, cerchiamo mio padre". Ci saremo fermati venti volte. E come stanno i capelli, ma sei sicura che lo vuoi vedere?, tirali indietro, mostra il viso..sei bellissima, che faccio lo chiamo, dove sarà, starà facendo i mochi o sarà dietro con gli altri. Ah, eccolo. E come un'onda si scontra con un'altra contraria nello stesso identico mare è stato il Giappone. Grazie, hai cambiato la sua vita quando non ci speravamo più. E parole parole parole risate e poi è arrivata lei, timidamente, semplicemente. Si sono guardati ed è stato come ho già detto. E poi risate, le bacarelle, ci siamo messi la giacca dello staff dei matsuri con tanto di oni dietro e cognome sul davanti e siamo andati a suonare la grande campana, insieme. Io la più vicina delle tre file, io al posto d'onore, a suonare una campana sacra oltre il cartello "vietato l'accesso", e loro due dietro, insieme, finalmente, tutti e tre a suonare una benedizione fievole e beata. Poi ancora la preghiera in un tempio fantastico tutto in oro con decorazioni meravigliose sotto una Tokyo Tower a due passi sotto un cielo limpido e freddo da neve in cui tutto s'è bloccato un instante dopo l'altro, a meno di un passo andando verso l'interno. Pregare, insieme, buttare insieme i soldi perché quell'esserino nella sua assurdità tiene piccolinissimamente a queste cose, fare inchino, mani, mani, inchino, sincroni e complici nella notte di tutti e di nessuno. Fotografare, passeggiare, ridere. E poi tornare dallo staff, dalla famiglia, riuniti intorno ad un braciere a bere vino dolcissimo e mangiare oden, l'ultimo oden per noi due. Ridere con le battute del padre, ascoltare i signori anziani ubriachi fare discorsi saggi e ridondanti, aiutare a mettere in ordine e andare ancora a pregare insieme, prendere gli omikuji e appendere il suo insieme, fare una fila eterna per l'okonomiyaki, insieme, tutti e quattro, e "andiamo al karaoke" e io "andiamo!" e lei "Ale-chan, lascialo stare, è ubriaco..a casa!" e il piccolo a ridere. Infine, la metro. Un lungo, appassionato, eterno discorso di ringraziamento, di "se ti fa qualcosa di male chiamami, non lo perdonerò, vieni a stare da noi quando vuoi, sistemiamo la stanza, stiamo insieme, se ti serve qualcosiasi cosa" e grazie, grazie, grazie e stupirsi ai miei discorsi, vedere gli occhi lucidi a sentire l'inverso, di quanto quell'anima bella anche se estremamente tormentata avesse portato nei miei tormenti il vento delle sue tempeste sorde a sconvolgere tutto e poi a guardar bene non aveva che messo in ordine. E finalmente vederli parlare da soli e saperli a dire "prenditi cura di questa ragazza preziosa e di te". E' questo il miracolo, la verità dei mondi che sono. Tutto qui. 

Finalmente, alla fine, sul finale, dell'inizio, scendere in metro e prima di separarci per i due capi opposti di Tokyo nascondersi dietro un chiosco chiuso e una delle sue perle "ahhh, finalmente ci possiamo baciare". E grazie, ancora, ancora, korekara, bokura no basho ni natta, sunda kuuki ni mo kimi wo mitsukeru. Queste parole non hanno alcun prezzo in ogni giorno dell'anno. Questo miracolo non ha nome nè tempo. E' e basta. Yukkuri. Rakuni. Shiawase. 

Questo è l'anno della bellezza e della verità. Il 13 è il mio numero fortunato per eccellenza, il numero del successo.諦めない。Non c'è (nemmeno)ex-ragazza patatetica, collega, ipocrita, burocrazia che possa distruggerlo. Siete tutti solo cagnetti innocui che abbaiano più di quanto possano permettersi. Per quanto mi riguarda mii affido solo all'onda del mio destino balordo. Porta sempre e solo ad un punto. Il centro del centro di me, nemmeno poi così in fondo. Grazie, shizen no kamisama.

Manca ancora tutto un anno di beltà


Mochi tsuki