martedì 15 maggio 2012

Harder, faster, better, punker, rocker-duck

Questa settimana ho veramente sabottato alla grande, mi sono proprio grattata l’onaka e ho pensato solo ad asobare con i tomodachi, quindi vi ho pienamente trascurato (ed ora anche confuso, credo, ma va tutto daijoubu). Avrei una serie di argomenti di cui fare le mie baka esposizioni, tipo le cinque ore di concerto di ieri, i free hugs di domenica, la frequenza di nanpa, la tv, le mie coinquiline, uno spazio speciale per Toma-kun, la moda nipponese del momento. Perciò, avendo ormai vissuto quasi un mese nel paese delle meraviglie, darei ordinatamente inizio ad una random blaterata, partendo, ovviamente, dall’ultima cosa, ovvero


- "Le cronache di Nipponia" -
    ventiquattresimo giorno
     (domenica 6 maggio)


Il mio primo live club è stata un’esperienza drastica. Avevo già fermamente stabilito che dopo il duro allentamento di questi mesi a Potenza mi sentivo pienamente in grado di affrontare nottate nei locali di Tokyo fino alla riapertura mattutina della metro, quando, un giorno, un signorino identificato quale Gianluca, anche nomenclato Asso Growa, mi fa “cerca Mighty Crown e capirai di cosa parlo”. A quel punto mi si aprono le porte della street culture nipponica e scopro millemila live club in cui è possibile ascoltare hip hop e reggae tutti i giorni, dai dieci ai trenta euro di ingresso, ma, e dico MA, avevo deciso di partire assolutamente da un concerto dei Mighty Crown. L’unico cui sarei potuta andare, il prima possibile, era quello di ieri. L’evento sbagliato. Il Liquid Room presentava “MOSH BOYz”, con Mighty Crown, Laughin’nose, Stab 4 reason, Joe Alcohol & The Wonderful World, 10-FEET e Totalfat. Se qualcuno li conosce alzi la mano. Io no. Sta di fatto che l’ingresso è alle tre, inizio previsto alle quattro. Prezzo del biglietto 4.000 yen (circa 40 euro) più 500 yen aggiuntivi per una spilletta scambiabile con un drink. Mi guardo intorno. Nella sala non si può mangiare, non si può fumare, non si possono fare foto. Perfetto, alla giapponese, cominciamo bene. Poi mi guardo intorno e vedo tutti sti nippici con le magliette da concerto, con gli asciugamani, le bandane, mi aspetto qualcuno con il santino di Liga o di Laura Pausini e inizio a temere per l’esito della serata. Sta di fatto che doveva essere un grande evento organizzato per la golden week (la settimana dell’anno in cui a Nipponia in teoria non si lavora e si va in giro) perché costava un botto e si sono esibiti un botto di gruppi famosi, a quanto pare, mentre la tv riprendeva tutto. Il problema è stato il genere. Quando si apre il tendone, alle 16.00 in punto, ovviamente, mi si presenta lo spettacolo più ilare possibile. Ho capito nettamente cosa sarebbe successo se Sid Vicious e Kurt Cobain fossero arrivati all’età pensionabile, mentre Jim Morrison con i capelli tinti sospirava frasi ad effetto con la dentiera traballante. Questo gruppo di tre sessantenni e una giovane risorsa sui trentacinque anni, imbottiti di borchie, gel, pellame vario (e non solo, secondo me), inizia a saltare sul palco, ad urlare (e urlare e urlare e urlare), a sudare come la fontana di Trevi se le si rompesse il rubinetto centrale, con questo remake di My Way metal, hard rock, punk, non ne ho idea, perdonatemi, ma la verità è che, per usare un’espressione autoctona dello Shikoku, “facevano veramente brutto”. Non so se è stato il fatto di non aver mai assistito ad un concerto del genere, se essendo un mega concerto c’erano i migliori, se di musica non capisco assolutamente nulla, non lo so, ma spaccavano. Sudavano, si agitavano, si eccitavano e andavano su di giri come un maialino da trufolo davanti ad un tartufo gigante delle dimensioni del cupolone o del fondoschiena di Rosa Piro (che più o meno si equivalgono). I momenti migliori sono stati sicuramente lui, il frontman, questo spudorato giovanotto sulla sessantina completamente fradicio sotto i riflettori, che si fa il segno della croce con il dito medio, sempre lui che afferra il microfono al volo dopo una mirabolante piroetta e lo fa staccare dall’asta ma molto giapponesamente si affanna a rimetterlo a posto (e non ci riesce), ed infine ancora lui che per saluto si lecca le dita e le agita verso il pubblico. Se sei giapponese, se a sessant’anni hai ancora la faccia da bambino, se non sei un bad boy, sappi che è zettai dame. Per non parlare del Carlos Santana della terra del riso calante ( eccome se se lo calante) che partiva con degli assoli estatici verso il pubblico con sole due dita mentre il suo viso esprimeva grande sofferenza, eccitazione, dolore orgasmatico e piena consapevolezza dell’onda sonora. Il Jimi Hendrix del Kanto.

Per quanto riguarda il pubblico, solo due o tre file di questi sorcini rock-punk-metal che pacatamente, di quando in quando, sollevavano il braccio e urlavano pezzi di canzoni o striduli gridolini. Ho iniziato a rimpiangere i 4000 yen, poi, dopo mezzora, il nonno della notte ha deciso di non schioppare sul palco ed ha abbandonato la scena ringraziando commosso l’ufficio inps di Shibuya per questa occasione, chiusura del sipario, dispersione della folla, di nuovo tutti seduti. Passa mezzora ed inizio a pensare che quelli siano stati solo l’apertura, siamo in Giappone, è tutto ordinato, le folle non si muovono dal loro quadratino di parquet, i Mighty Crown sono il primo gruppo in lista, staranno preparando il megaconcerto. No. La serata si è svolta esattamente in questo modo. Gruppo, mezzora, mezzora di pausa, altro gruppo, ordine sparso. I Mighty Crown hanno suonato alle nove meno venti con sole due file di persone sotto il palco e me in prima fila (chissà su che rete sono finita, mi hanno inquadrata un sacco di volte), unica a muovere realmente l’osso sacro (dopo 4 ore di attesa e 45 euro spesi, sì, porca ciabatta), ma ne è valsa la pena. Semplicemente era la serata sbagliata, forse, per il primo e l’ultimo gruppo, i nonnetti e i Mighty, perché quando si è aperto il sipario sul secondo gruppo si è scatenato il delirio!!! La sala si è improvvisamente affollata, io ero nella terza-quarta fila ma mi sono dovuta spostare sul lato perché è iniziato un bordello pazzesco, il parquet tremava sotto i salti e i pogamenti malati dei giovani nippici, maschi e femmine, impazziti come Ulisse al canto delle sirene, richiamati alla follia al punto tale che dalle retrovie hanno iniziato a lanciarsi sulla folla, ad essere trascinati sulle teste fin sotto il palco per poi essere gettati a terra nello spazio appositamente creato tra palco e transenne, maschi e femmine, come una giostra, fino allo sfinimento. E nessuno si è fatto male. Si riunivano, incitati dal cantante, in cerchi concentrici e poi iniziavano questo turbine di pogamento pazzesco. Persino i bulli del quartiere, che hanno rovesciato birra, fumavano e rompevano tranquillamente, sono stati pacatamente emarginati e lasciati al loro gruppo di idioti, senza risse, scazzi né altro. Credo che se si usasse questa tecnica anche a Potenza, con la famosa minaccia di ogni festa meglio riuscita, i cosiddetti “pignolesi”, forse si eviterebbe ogni volta di spegnere la musica, chiamare i carabinieri e rompere le palle ad altri pignolesi come me che magari hanno pure pagato volentieri il biglietto. Passato il momento amarezza, posso tirare il fiato pensando che ho ancora altri due mesi a Chiba prima di ripiombare nel baratro.

Insomma, devo ufficialmente chiedere perdono ai nippici a cui ho ripetutamente dato degli sfigati ogni volta ribadendo “Italians do it better”. Viva viva viva la Nipponia musicale. In questo caso “Nippis do it better”, clamorosamente. Ogni volta, dispersione delle folle dopo mezzora, poi tutta una sala che si agitava, io che iniziavo a disperare, dj inutili che nessuno ha cagato, security che viene a ricordarmi che “è vietato fare video” proprio prima dei Mighty Crown e finalmente si apre l’ultimo sipario. Saremo stati in pochi, sarò su Chiba Tv e su Mtv Tokyo, avrò sudato come il nonnetto della notte e tutti i punk-rock-metal successivi (ma quanta voce e liquidi corporei hanno i giapponesi?), ma mi è piaciuto da morire. Da sola, lì, l’unica pseudo-jamaicana tra tutti quei trucidissimi, prendere sulle nostre teste i Mighty Crown lanciati a rock star e muovermi FINALMENTE come piace a me, come avevo proprio bisogno di fare per dare a Tokyo ciò che Tokyo mi ha dato, non ha avuto prezzo. Un unico appunto: sarà la new school, il new trend, la new wave e sarà pure la volkswagen, ma i Mighty Crown hanno lo stesso vizio di Asso Growa amplificato a tremila. In venti minuti di concerto avrò sentito quarantotto pezzi, trenta secondi per abituarti al ritmo e pulloooooqualcosa (mi corregga pure qualsiasi amante del genere) e via con una cosa completamente diversa. Allora, o mi fai ballare o mi fai ballare, mi fra. Ho detto proprio così a quello dei Mighty Crown quando si è lanciato per la terza volta ed è arrivato sulla mia testa: “mi frà, però nu pezz mu putess pur fa send, era megl quann gia ai danz d’Asso Growa” e lui mi ha risposto come un mi fra di Yokohama quindi è inutile che ve lo scriva, è troppo gergale. Finito tutto, nell’aria ormai completamente estiva di Shibuya, me ne sono pacatamente e felicemente tornata a casa (alla quale sono giunta dopo una sola oretta di metro). Morale della favola, i giapponesi sono più plastici di Dante, con queste performance perfettamente orchestrate che sembrano davvero esaltazioni satiriche e poi li vedi che cortesemente si girano di spalle per bere o si lanciano in ringraziamenti di cuore con voci malinconiche ed espressioni quali “kokoro kara” e “boku no naka ni” (dal cuore e dentro di me) tra un urlo dannato ed un altro. Per dirla con Eisenhower, i giapponesi sono delle macchiette, qualsiasi cosa facciano. Non voglio tornare a casa, zettai ni. Se solo restare oltre i tre mesi non fosse zettai dame..

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