martedì 1 gennaio 2013

L'anno nuovo non è solo


Merita una nota e questa sarà MI. 

Nella mia testa si rincorrono parole da ieri notte. Riconoscenza, tu, mostrare, miracolo, grazie, salvare. E poi la parola più bella di tutte, il suono di un sorriso stanco. Non ho mai incontrato un uomo adulto che mi ringraziasse così tanto e così di cuore, davvero, fino allo sfinimento, come un bambino che ha ricevuto la cosa che voleva tanto dopo Natale, quando ormai non se l'aspettava più. Complice l'alcol forse, ma fino alla commozione. Ho il vizio di dire tutto ciò che provo davvero anche in giapponese. E lei, loro due, sono stati il vero miracolo. Io non ho fatto proprio niente. Kazu dice "è potuto succedere solo perché c'eri tu, hai fatto tutto questo". Ma le gambe che tremavano erano le sue, il sorriso imbarazzato che faceva battute e la sfioravano leggermente senza permettersi troppo, la voglia forse di chiederle scusa dal profondo del cuore e non sapere come fare. Era lei che incontrandolo dopo due o tre anni non ha fatto alcun tipo di scenata ma con emozione piccola e pacata, quasi silenziosamente, esplodeva all'interno di ogni sorriso prendendosi cura di ogni passo guardando a terra. Il miracolo sono stati loro, felici e piccoli senza dirsi alcuna parola drammatica. Non me li tolgo dalla mente. Il padre è fantastico, ma loro due erano tenerezza pura. Avrei voluto dire "vai con lei, dormi da loro, cena con loro, vacci al karaoke", ma i miracoli si dosano e centellinano nel cuore. E poi non vedevamo l'ora di stare soli per baciarci. 

Buon anno, nuovo

Questi Natale e Capodanno sono stati i migliori della mia vita. Sono stati semplici, senza alcun tipo di previsione, inventanti, voluti e venuti. Natale era scritto solo e soltanto "stare insieme", lui a lavorare la vigilia e io a Natale. Senza cucinare grandi cene, senza vestiti sfarzosi, senza nemmeno un goccio d'alcol, ognuno con la sua piccola sorpresa (un paio a testa, in realtà), senza sapere come ma con la consapevolezza del quando. E l'alone del perché a brillare nelle candele accese, ad un certo punto. Venti, trenta candele forse? Tutte lì a sussurrare. Passato a discutere, chiacchierare e fare l'amore. Ridendo belli.

Capodanno è venuto da una crisi. Da urla, rabbia, separazione, lacrime e gesti eroici, riprese, salvezze. Rinunce al vizio per dimostrare una cosa sola: qualsiasi cosa cambi, inizi e finisca è sempre e solo frutto della verità di due anime nude. Che s'erano cercate e non lo sapevano e di cui non si sa cosa sarà. Gli oni ridono, ho scoperto. E piuttosto che farli ridere una risata buona me la faccio io. Ogni giorno, anche in silenzio, anche nel vuoto. La risata dolce della mia vita compiuta.  Così da me che vestita di tutto punto dovevo passare il capodanno tra la aoyama bene, o più che bene ricca, nell'Upper Higashi side di Tokyo, è diventato "vieni con me". Al locale ci sono andata, tanto non pagavo, quindici inutili minuti solo per far girare qualche testa e farmi dire dallo staff un banale e gelido "ohhh, come sei sexy oggi, vieni, beviamo liquore", e poi volare via, nella Tokyo che piace a me. Correre a Daimon sull'Oedo-sen, salire di corsa le scale per fare in tempo (in ritardo fino all'ultimo dell'anno) e vederlo lì, teso, quasi già stanco, ad aspettarmi con calma e dirmi "tranquilla, facciamo in tempo" e prenderci per mano e correre tra tutta quella folla, oltre il cancello del tempio, a contare 6, 5, 4, mezzo in italiano e mezzo in giapponese senza capire più niente, e vedere il fumo salire sulla Tokyo Tower e poi vederla iluminarsi tutta sullo sfondo di un grande tempio, e auguriiiii, abbracciarmi, e la voglia di darmi il primo bacio dell'anno ma Koko ha Nihon da e allora tirarmi vicino ad un pilastro e dirmi "auguri" dritto negli occhi e baciarmi velocemente e poi fermarci lì e dire "la gente è ancora troppa per andare a pregare, cerchiamo mio padre". Ci saremo fermati venti volte. E come stanno i capelli, ma sei sicura che lo vuoi vedere?, tirali indietro, mostra il viso..sei bellissima, che faccio lo chiamo, dove sarà, starà facendo i mochi o sarà dietro con gli altri. Ah, eccolo. E come un'onda si scontra con un'altra contraria nello stesso identico mare è stato il Giappone. Grazie, hai cambiato la sua vita quando non ci speravamo più. E parole parole parole risate e poi è arrivata lei, timidamente, semplicemente. Si sono guardati ed è stato come ho già detto. E poi risate, le bacarelle, ci siamo messi la giacca dello staff dei matsuri con tanto di oni dietro e cognome sul davanti e siamo andati a suonare la grande campana, insieme. Io la più vicina delle tre file, io al posto d'onore, a suonare una campana sacra oltre il cartello "vietato l'accesso", e loro due dietro, insieme, finalmente, tutti e tre a suonare una benedizione fievole e beata. Poi ancora la preghiera in un tempio fantastico tutto in oro con decorazioni meravigliose sotto una Tokyo Tower a due passi sotto un cielo limpido e freddo da neve in cui tutto s'è bloccato un instante dopo l'altro, a meno di un passo andando verso l'interno. Pregare, insieme, buttare insieme i soldi perché quell'esserino nella sua assurdità tiene piccolinissimamente a queste cose, fare inchino, mani, mani, inchino, sincroni e complici nella notte di tutti e di nessuno. Fotografare, passeggiare, ridere. E poi tornare dallo staff, dalla famiglia, riuniti intorno ad un braciere a bere vino dolcissimo e mangiare oden, l'ultimo oden per noi due. Ridere con le battute del padre, ascoltare i signori anziani ubriachi fare discorsi saggi e ridondanti, aiutare a mettere in ordine e andare ancora a pregare insieme, prendere gli omikuji e appendere il suo insieme, fare una fila eterna per l'okonomiyaki, insieme, tutti e quattro, e "andiamo al karaoke" e io "andiamo!" e lei "Ale-chan, lascialo stare, è ubriaco..a casa!" e il piccolo a ridere. Infine, la metro. Un lungo, appassionato, eterno discorso di ringraziamento, di "se ti fa qualcosa di male chiamami, non lo perdonerò, vieni a stare da noi quando vuoi, sistemiamo la stanza, stiamo insieme, se ti serve qualcosiasi cosa" e grazie, grazie, grazie e stupirsi ai miei discorsi, vedere gli occhi lucidi a sentire l'inverso, di quanto quell'anima bella anche se estremamente tormentata avesse portato nei miei tormenti il vento delle sue tempeste sorde a sconvolgere tutto e poi a guardar bene non aveva che messo in ordine. E finalmente vederli parlare da soli e saperli a dire "prenditi cura di questa ragazza preziosa e di te". E' questo il miracolo, la verità dei mondi che sono. Tutto qui. 

Finalmente, alla fine, sul finale, dell'inizio, scendere in metro e prima di separarci per i due capi opposti di Tokyo nascondersi dietro un chiosco chiuso e una delle sue perle "ahhh, finalmente ci possiamo baciare". E grazie, ancora, ancora, korekara, bokura no basho ni natta, sunda kuuki ni mo kimi wo mitsukeru. Queste parole non hanno alcun prezzo in ogni giorno dell'anno. Questo miracolo non ha nome nè tempo. E' e basta. Yukkuri. Rakuni. Shiawase. 

Questo è l'anno della bellezza e della verità. Il 13 è il mio numero fortunato per eccellenza, il numero del successo.諦めない。Non c'è (nemmeno)ex-ragazza patatetica, collega, ipocrita, burocrazia che possa distruggerlo. Siete tutti solo cagnetti innocui che abbaiano più di quanto possano permettersi. Per quanto mi riguarda mii affido solo all'onda del mio destino balordo. Porta sempre e solo ad un punto. Il centro del centro di me, nemmeno poi così in fondo. Grazie, shizen no kamisama.

Manca ancora tutto un anno di beltà


Mochi tsuki




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