martedì 4 settembre 2012

Modori

Credevo che avrei scritto così tanto mentre ero in Italia o che, se non l'avessi fatto, sarei stata impelagata in mille e più cose..invece sono stata coinvolta in un dubbioso e controverso rapporto con una casa vuota e il letto sfatto ad avvertire il più profondo senso di inadeguatezza. Io non ero adatta a loro e loro non erano adatti a me. Impossibile rifare il letto ogni giorno.

Sono tornata l'8 luglio ed ho girovagato per l'Italia per un paio di settimane cercando la mia dimensione. Prima, quarta, chi se ne frega. Terminate le faccende, sono tornata a stabilirmi al paese. Dopo una settimana di saluti, i regali erano quasi finiti e le speranze pure. Si prova una strana sensazione, a tornare a casa. Una strana, stranissima sensazione di vuoto e paura. E dolore di non sapere di cosa e perché. Quella la parte più brutta. Quando non hai un progetto, un programma o una scialba pianificazione che sia una, non sai perché vai, molto peggio di non sapere dove andare. Io sapevo solo che volevo tornare a casa. In Giappone.

Quando sono stata in Giappone, due anni fa, sognavo solo di metterci piede. Ci sono stata un mese, con un'amica italiana, facendo home stay in due case diverse, andando a scuola di giapponese per stranieri a Shibuya ogni mattina ed uscendo una sera soltanto qualche giorno prima di tornare. In più, mi ero fidanzata da poco e avevo solo (solo???) 20 anni. Vabbè, praticamente 21. Volevo ancora sentirmi vicina. Tornare è stato triste ma tornavo da qualcosa. Dovevo finire l'università, finire il mio rapporto, finire di contarmi i giorni uno dopo l'altro. Era stato solo il sogno di sempre che si realizzava. L'avevo deciso anni prima e l'avevo portato a termine.

Poi ci sono tornata, come raccontano scioccabilmente (plurisemanticate, prego) queste cronache. Questa volta avevo la libertà di non avere una casa. Non stavo scappando, non stavo cercando. Stavo solo, semplicemente, vivendo un'esperienza. Fatto il mio dovere, laureata, raccolti i soldi lavorando, ho vissuto un'esperienza. E la vita mi è caracollata addosso raccogliendomisi un po' tra le mani. L'ho guardata e mi è piaciuta da morire. Così, l'ho sposata. Ho deciso che sarebbe stata mia, l'ho inseguita e l'ho indossata come meglio mi stava addosso. Non riuscivo a non sentirmi così viva. Le cronache di Nipponia sono il risvolto della mia anima rigirata e rimescolata di rosso. Sono me da me, sempre che me sia mentre me - no- male.

Restare a casa è stato incredibilmente difficile. Non riuscivo a reinserirmi, non riuscivo a condividere, a sprofondare. Non ero più la stessa e non lo era nemmeno chi mi stava intorno e si aspettava un'Alessandra da me (perché è così che mi chiamo, se non l'avessi già detto). Io so dove voglio andare, so cosa voglio essere. Ed ora mi aspetta un'occasione, una sola, che scade entro 90 giorni. O la va, o mi spacco.

Sarà visto lavorativo o sarà un bel calcione nel didietro con tanto di scritta "fail"? Questo non lo può sapere che l'ufficio immigrazione. Io vado a cercare un futuro sperando di non deludermi, né me né quell'uomo con i baffi, quello bello che mentre mi abbracciava mi ha detto all'orecchio "è un'occasione, una sola. sfruttala.". Vorrei vincere per lui che crede in me anche quando scuote la testa e inveisce ai miei difetti.


Le cronache di Nipponia - Reloaded
Le avventure nel regno di Burocratilandia


A noi 127.770.794, nipponesi! Domani si parte!

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